Storia
L’archetipo del risotto è il risotto alla milanese. E, come vedremo, non solo l’archetipo: anche il prototipo. La sua origine non è un giallo; è una leggenda. Il colore dipende dallo zafferano, pianta i cui fiori sbocciano in ottobre. La parte superiore dei pistilli (lo stimma)contiene una sostanza oleosa e aromatica. Gli stimmi vanno essiccati e macinati, fino a ricavarne una polvere gialla, un po’ amara e un po’ piccante.In Italia lo zafferano si coltiva poco, negli Abruzzi e in Sardegna. In Europa lo producono la Spagna e la Grecia, nel mondo le maggiori piantagioni di zafferano si trovano in India e in Iran. Dove la mano d’opera costa poco: una fortuna, dal momento che l’intera lavorazione dello zafferano è manuale. Per fare un chilo di zafferano si devono raccogliere 150 mila fiori, e ci vogliono 500 ore di lavoro. Lo zafferano si impiega in cucina (per il risotto di cui stiamo parlando, e per altro), ed entra nella preparazione di sciroppi e di liquori. E non si ferma qui; entra anche in chiesa. O per lo meno c’è entrato in passato. E proprio là ha dato vita al risotto alla milanese.E’ una bella storia, e bisogna raccontarla bene. A partire dal 1385 cominciarono a giungere a Milano artisti, architetti,artigiani, muratori, pittori, vetrai. Per dare il loro contributo alla“Fabbrica del Duomo”; un immenso cantiere che rimase aperto per decenni, fino ad esitare in quell’incredibile testimonianza del gotico fiammeggiante che sembra uscita dall’estasi di un mistico.Tra i convenuti c’era un fiammingo di Lovanio, tal Valerio Perfundavalle, di professione pittore di vetrate. Per conferire ai suoi gialli un tocco di brillantezza in più, Perfundavallle impiegava lo zafferano. A Milano si lavorava sodo fin d’allora, e lo spacco per il pranzo era piuttosto breve (non c’erano ancora i sindacati, del resto).