Storia

Il nostro pittore pertanto si riduceva a mangiare un po’ di riso dalla “schiscetta”, sul suo ponteggio sospeso tra terra e cielo. Com’è e come non è, un bel giorno, causa un movimento maldestro, un po’ dello zafferano che serviva per le vetrate finì nel riso.La leggenda sorvola sulle reazioni del nostro eroe (avrà forse sacramentato in fiammingo, a bassa voce dato il luogo). Però….il riso colorato di giallo pareva proprio appetitoso. E il sapore? Perfundavalle esitò un istante. Poi si disse:che male può farmi? E’ una pianta! (Come la cicuta, NdR).Così l’assaggiò. Gli piacque molto. Da quel giorno le sue vetrate furono un po’ meno gialle, e il suo riso lo fu di più. La voce, com’è ovvio,si sparse. E lo zafferano passò in cucina. Come dire: dal croco al cuoco.Questa storia è sicuramente falsa, dalla prima all’ultima parola. Ma è suggestiva, perché mette insieme i due must di Milano: il Duomo, e il risotto alla milanese. Facendoli nascere nello stesso luogo, l’uno dall’altro.Le scatole cinesi non hanno fine: da tutto questo scaturisce – secondo un’altra leggenda – anche il nome“risotto”. Un umanista, assaggiando questo singolare riso giallo, pare abbia esclamato: “Risus optimus!”Leggende ed amenità a parte, è documentato che la “cottura a risotto” è una tecnica tutta italiana.Che non si facciano avanti i soliti cinesi (che ci stanno – stavolta – sulle scatole): che smacco per loro, inventori di quasi tutto, essersi fatti scappare un  risotto giallo! O gli immarcescibili Arabi. I primi il riso l’hanno coltivato ed esportato, i secondi ce l’hanno  condotto quasi fin dentro casa. Ma siamo stati noi italiani, con la creatività che il mondo ci riconosce, ad inventare e a rendere famoso il risotto.Certo è che nel 1791 il risotto in Piemonte era già un piatto tradizionale, anche se soltanto del bel mondo: i Savoia erano soliti farlo servire a mezzanotte, durante i ricevimenti che davano nei loro bei palazzi torinesi. A codificare il risotto così come lo intendiamo oggi fu peraltro un cuoco rimasto semi-anonimo, dal momento che di lui conosciamo soltanto le iniziali: L.O.G. ….Nessun discorso che si occupi di cucina può comunque prescindere dal citare, magari di volata, il grande Pellegrino Artusi. Il grande emiliano (forlimpopolese) …..per poter mettere bocca in tutto,  mise in bocca tutto. Si deve a lui la classificazione dei risi in base alla cottura. Il risotto acquista così una sua specificità, cucinato – come dev’essere – in casseruola, con un soffritto al quale va aggiunto, poco per volta, del brodo.Ma non c’è autenticità senza certificato di garanzia. Il risotto c’ha pure questo; il suo imprimatur come capolavoro dell’arte culinaria italiana reca nientemeno che la firma di Auguste Escoffier. Quando parla, e scrive di risotti, il celebre cuoco francese non manca mai di definirli “una preparazione all’italiana”. E li descrive, abbinandoli ai luoghi d’origine (alla piemontese, alla milanese, alla fiorentina).

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